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Dal pozzo dei ricordi: Witches

Non sei tu a tessere i filo, il fuso non è nelle tue mani. Tu che pensi usando parole umane, non puoi pensare ciò che trascende il semplice linguaggio. Tu non puoi contenere ciò che è più grande di te. E anche se puoi espandere il tuo mondo, non puoi comunque uscire fuori di te. Ciò che riusciamo a raggiungere è solo dentro al nostro mondo. Ci sono cose che noi non potremo toccare mai.

Non dimenticare. Il vero segreto resta tale in eterno.

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Salve a tutti e ben ritrovati al pozzo dei ricordi. Era un po’ che non ci affacciavamo a scrutare le sue acque limpide, sporgendoci oltre il bordo e guardando giù, ed oggi è un buon momento. Ci ritorniamo per pescare una seconda opera di Daisuke Igarashi proseguendo così nel nostro viaggio alla scoperta della sua particolare, pur non vastissima, produzione. E lo facciamo prendendo in mano Witches che è una lettura da affrontare, per vari motivi, con un occhio di riguardo.

Pubblicata nel 2006 da Kappa Edizioni nel fervente contesto della collana Manga San, Witches è, come Spirit in the Sky, una raccolta di racconti. Ed è proprio per la sua collocazione editoriale che, in primo luogo, merita una certa attenzione. Il lavoro iniziato da Kappa Edizioni con Manga San circa a metà degli anni duemila è stato di cardinale importanza per consolidare, ma talvolta anche formare, la percezione che del manga si aveva in Italia. Lavoro purtroppo lasciato a metà e il cui testimone, ahimè, è stato raramente raccolto. Non voglio certo infilarmi in una carrellata di titoli lasciandomi trasportare dalla nostalgia: basti sapere che se oggi riteniamo (quasi) normale trovare in fumetteria autori come Asano, Kitoh (che pur aveva già visto, sporadicamente, gli scaffali) o lo stesso Igarashi, è merito anche e soprattutto di Manga San.

KAPPA

Quanti ricordi…

In quest’ottica è evidente perché Witches, pubblicato nei numeri quattro e cinque della collana e quindi praticamente in apertura, rivesta in qualche modo un ruolo importante per la storia del fumetto giapponese nel nostro paese. Questo solo per fare una piccola parentesi storica, magari non necessaria, ma al pozzo dei ricordi non sempre si può scegliere che ricordo pescare…

Quindi, ricapitolando, stiamo parlando di Witches, di Daisuke Igarashi. È, come il titolo suggerisce, una raccolta di racconti di streghe, ed è un lavoro sorprendente. Non di facile fruizione, ma certamente sorprendente.

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In linea con l’estetica e la poetica delle altre opere dell’autore, il mondo di Witches è velato dal mistero e solcato da venti magici che ormai solamente pochi sono in grado di osservare e riconoscere. Il progresso, la civiltà, per certi versi anche la religione e la supremazia della scienza hanno contribuito a celare la realtà della magia agli occhi dei più, ormai dimentichi delle meraviglie di una realtà che pur presente si avvia verso l’oblio.

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Per Igarashi le streghe non sono, eccezion fatta forse per il racconto d’apertura, esseri malvagi in cerca di potere. Sono donne (rigorosamente donne, e questo meriterebbe un approfondimento) dalla maggior percezione sensoriale, dalla maggior coscienza. Spesso si fa riferimento al “sentire con tutto il corpo”, i sensi rivestono infatti un ruolo cardinale e, se vogliamo, sono la chiave verso le ataviche e terribili bellezze della magia. Magia che permea il mondo in cui viviamo, il suolo che calpestiamo, l’aria che respiriamo. Persino il cibo che mangiamo.

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Fa parte dell’universo. Solo che normalmente le persone sono divenute insensibili al suo potere, incapaci di comprenderlo, di concepirlo, anche solo di percepirlo. La percezione, la capacità di sentire con tutto il proprio corpo la Natura, che costantemente parla a chi sappia ascoltarla, è la chiave il punto focale del discorso.

L’altro cardine è il linguaggio, intermediario tra il mondo infinito della verità ed il mondo finito degli uomini.

Le streghe sono il punto di congiunzione tra questi due mondi, esse comprendono la realtà senza mediarla con le parole, senza ridurla ed adattarla con il vocabolario. “Io sono la persona che tiene in contatto due mondi: il mondo delle parole e il mondo senza parole. Il vostro mondo è finito. Il nostro mondo è infinito”. Ciò che distingue noi da loro è quindi una qualche forma di limitatezza, forse innata, nella nostra percezione e quindi nella nostra concezione e descrizione del mondo. Una limitatezza il più delle volte insormontabile, una diversità inappianabile fonte di invidie e paure.

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Si potrebbe quindi dire che i temi trattati in questi due volumi siano grossomodo gli stessi di quelli di Spirit in the Sky, e in una certa misura sarebbe anche corretto. Abbiamo in entrambi i casi a che fare con storie fantastiche e personaggi atipici che hanno il sapore del racconto attorno al fuoco di tempi perduti e conoscenze dimenticate. È tuttavia il tono con cui vengono narrati i racconti di questa seconda raccolta a renderla profondamente differente dalla prima.

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La malinconia che permeava l’albo Star Comics ha qui lasciato il posto a una maggiore drammaticità. Drammaticità evidente anche in “Ladra di canzoni”, il penultimo racconto di Witches, pur essendo il più vicino in termini narrativi a quelli di Spirit in the Sky. C’è un retrogusto epico, quasi solenne, che prima non c’era: siamo ora più vicini al mito che alla fiaba, e abbiamo a che fare con forze più grezze e primitive, con mali e problematiche ancestrali. Non ci viene più raccontata la triste storia di una ragazza che poco alla volta si trasforma in sabbia, o di uno spiritello in cerca del suo posto nel mondo. Ora ci vengono raccontati antichi rancori e lotte per la sopravvivenza, si parla di sacrificio e della voce del mondo.

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Ed infine, usando circa le stesse parole che usai l’altra volta, su tutto troneggia il disegno di Daisuke Igarashi. Uno stile graffiante e apparentemente, forse volutamente, sgraziato. Eppure raffinato e sottile, particolarmente comunicativo. Perfetto per la storia che vuole raccontare e per il modo in cui vuole raccontarla, per il messaggio e le emozioni che vuole veicolare. Emozioni che passano in primo luogo attraverso le splendide tavole che spiazzano il lettore lasciandolo stupito di fronte ad una bellezza così evidente ma al contempo, come la magia che rappresenta, così lontana da noi.

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Non mi dilungherei oltre, credo di aver detto abbastanza. Non mi resta che consigliarvi, se ve ne capita la possibilità, di recuperare questi due volumi che editorialmente parlando sembrano far parte dello stesso mondo morente di cui ci raccontano le storie al loro interno: sono albi belli, interessanti, pieni di contenuti; ma al contempo sono nascosti, difficili da trovare, talvolta dimenticati. Forse sono addirittura un pezzo di storia, chissà. Ma prima di tutto sono una bella lettura.

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Con questo vi saluto. Torneremo presto al pozzo per chiacchierare di Daisuke Igarashi e della sua magia. Non troppo presto, però: prima abbiamo mille altre letture da affrontare, discorsi da rispolverare, idee da portare alla luce. Ma il bello della magia è proprio questo, per quanto sembri sempre sul punto di scomparire, di venir dimenticata per sempre, la fiamma non si spegne mai del tutto. E quando ci si torna è lì che aspetta. Alla prossima!

(tutte le immagini appartengono ai rispettivi proprietari)

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