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Rainbow, la tragedia di sette ragazzi

copertinaÈ da un po’ che non parliamo di manga. Cioè, a parte la recensione di Battle Royale Angels’ Border il precedente articolo su un fumetto giapponese risale al 23 agosto. Santo cielo. Se ci penso mi vengono i brividi, d’altro canto mi sono avvicinato al fumetto proprio partendo dal manga, genere al quale sono particolarmente affezionato. Eppure ultimamente il mercato pare essersi arenato al punto che le proposte interessanti sono difficili da trovare, e capitano spesso mesi in cui non solo non esce nessun “numero uno” degno di nota ma addirittura non esce proprio nulla di anche solo guardabile. Fortunatamente non è questo il caso dato che questo mese Panini si lancia in una nuova avventura atta a proporre una rosa di opere di Masasumi Kakizaki, autore quasi sconosciuto in Italia, che attualmente si compone di tre titoli: Green Blood, Hideout e soprattutto Rainbow. Nonostante la lunghezza (credo si attesti attorno ai 22 volumi) mi suggerisse di starne alla larga ho acquistato il primo volume proprio di Rainbow (non riesco mai a contenermi, mannaggia), e devo ammettere di esserne rimasto abbastanza soddisfatto.

Siamo nel Giappone del 1955, nell’immediato dopoguerra; fame, povertà e criminalità dilagano. In questo contesto di degrado massimo assistiamo alle vicende di sette giovani (sette come i colori dell’arcobaleno, a spiegazione del titolo) rinchiusi nel riformatorio speciale Shonan, impareremo a conoscerli e ad apprezzarli per quello che sono, vedremo le vicissitudini che li hanno portati lì e le loro “eroiche gesta” di ogni giorno. Il primo punto su cui focalizzare l’attenzione è l’ambientazione. La povertà imperante, il degrado della società e la disperazione permeano ogni vignetta; a partire dal modo in cui sono rappresentati personaggi e luoghi, sempre sporchi e oppressi da fango e polvere, fino a tutto quello che capita loro, a rappresentare anche una sorta di deriva morale della società. Il riformatorio è, se vogliamo, l’immagine più riuscita di tutta quella bruttezza e meschinità, sia per quanto riguarda la struttura in sé che per quanto accade al suo interno. In questo contesto i sette protagonisti sono un po’ personaggi da tragedia greca, buoni e giusti (ognuno a modo suo) ma tormentati da un fato avverso e malevolo, da antagonisti meschini che li porteranno costantemente al limite violando la loro innocenza sia fisica che mentale. E proprio questo è il punto che un po’ mi ha infastidito. La narrazione è divisa in capitoli denominati “crime”, tutti permeati di una certa forma di epico buonismo sia narrativo che grafico. I protagonisti svilupperanno fin da subito e nonostante gli “sporadici” dubbi di alcuni di loro un fortissimo legame che li porterà ad aiutarsi a vicenda, a supportarsi, a volersi bene; ma sempre con una teatralità di gesti e parole un po’ eccessiva, vagamente artefatta. Questo purtroppo tende alle volte a rendere meno “reale”, meno credibile, la loro sofferenza e in parte alleggerisce la gravità della loro situazione allontanando la sensibilità del lettore.

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Questa drammatica epicità da tragedia greca è presente anche se guardiamo i disegni, la costruzione delle tavole e in particolar modo il character design. Protagonisti e comprimari sono molto stereotipati e caratterizzati in modo da esaltarne la valenza simbolica: gli eroi saranno prestanti e di bell’aspetto, i pervertiti immancabilmente grotteschi, le guardie carcerarie avranno tutte un aspetto diabolico. Tutto ciò comunque risulta essere un espediente piuttosto efficace per imprimere i personaggi nella memoria del lettore che, pur riuscendo raramente ad immedesimarsi in loro, ci si affezionerà fin da subito. Il disegno è dinamico e particolareggiato al punto giusto anche se talvolta venato da una sorta di romantica disperazione che non sempre cade a fagiolo.

Concludo. Rainbow è un buon fumetto capace di raccontare una storia (se non vera quantomeno verosimile) intrinsecamente tragica. Lo fa alle volte lasciandosi prendere un po’ la mano e lasciandosi andare a facili sentimentalismi, ma questo ne intacca solo marginalmente la qualità espressiva. I testi di George Abe (classe 1937) e i disegni di Masasumi Kakizaki sono più che appropriati alla narrazione, appoggiandola con la giusta retorica e la giusta drammaticità (a parte le voci fuori campo che sono oggettivamente orribili). Non è di certo una lettura scontata e probabilmente non piacerà a tutti, tuttavia mi sentirei di consigliare l’acquisto almeno del primo volume giusto per svegliarsi un po’ dal monotono torpore cui l’abbondanza di shonen e shojo di bassa leva ci hanno abituato. Poi per carità, non è di certo il capolavoro assoluto che Panini millanta: ha come abbiamo visto svariati difetti e notevoli ingenuità ma gli va riconosciuto almeno il merito di proporre qualcosa di differente in un panorama che ultimamente sa di stantio.

Nota di chiusura (davvero stavolta) sull’edizione italiana. Fa schifo. Dieci anni fa un fumetto di questa qualità tipografica (che è la stessa di Ken il Guerriero, per intenderci) al prezzo di 4 euro e 50 avrebbe sollevato una sommossa. Di certo i tempi sono cambiati e magari sono io che non riesco a stare al passo, ma così proprio non ci siamo: grammatura e qualità di carta e copertina fanno pena (comprate un deumidificatore, ne avrete bisogno), la rilegatura non è uniforme e nemmeno il taglio delle pagine. Sarà che mi lamento sempre, ma ‘sta edizione proprio non va bene. Con questo vi saluto, buona settimana e buona lettura! Se prenderete Rainbow magari fatemi sapere cosa ne pensate.

(tutte le immagini appartengono ai rispettivi proprietari)

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