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Una gru. Fredda e infreddolita

Ragazzuoli, salve a tutti e bentornati. È un po’ di tempo che non parliamo di manga. L’ultima volta è stata il 3 agosto, brevemente all’interno del secondo episodio di Commenti un tanto al chilo, mentre l’ultima recensione vera e propria risale addirittura al 2 dicembre. Possibile? Pare di sì. Comunque su ‘sta cosa che di manga belli (ma belli per davvero) ne escono sempre meno e che, anche di quelli belli, non ho praticamente mai nulla dire magari un giorno ci ritorniamo.

Anyway, sta di fatto che sarebbe anche ora di tornare a farsi un giretto nel bel paese del sol levante. Quindi facciamolo.

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Se, come me, siete affascinati dal Giappone dai tempi in cui vedevate i primi cartoni animati giappi (all’epoca mica si chiamavano ancora anime) su Junior Tv, allora di certo una delle figure che più vi intrigano di quella cultura così esotica certamente la geisha. Ma siccome “non avete mai avuto il tempo” (che è un modo più carino per dire che non avete mai avuto la voglia: troppe poche figure), non avete mai letto Memorie di una geisha di Arthur Golden. E siccome i film, come è noto, sono sempre peggio dei libri da cui sono tratti non avete manco visto il film omonimo.

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Che immagine tamarra che ho trovato…

Poco male. Ora potete sbafarvi Una gru infreddolita – Storia di una geisha di Kazuo Kamimura, appena (o quasi) sbarcato in Italia per i tipi di J-Pop in un corposo volume (350 pagine) da 14 dobloni.

Il volume in questione, scritto nel 1974, ci racconta la storia di Tsuru, povera ragazzina di campagna venduta ad una casa di geishe come sguattera in cambio di un sacco di riso. Il suo percorso inizia così, tra fame, disciplina, pochissimo svago. E un debito nei confronti della propria maitresse (gli interessi prima su quel sacco di riso, e poi sul cibo, sulle lezioni…) che cresce di giorno in giorno. Ma di pari passo cresce anche la possibilità di un futuro, possibilmente radioso (almeno all’apparenza), come geisha di prim’ordine.

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Fin da subito colpisce la determinazione di questa ragazzina, lontana dalla propria famiglia e trapiantata nella capitale in un ambiente clamorosamente ostile. Le angherie del presente sono ai suoi occhi poca cosa se paragonate alle, inizialmente esili, prospettive future.

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A poco più di metà del volume, dopo svariati capitoli (più o meno romanzati) che descrivono la vita quotidiana di Tsuru, uno stacco netto ci porta qualche anno più avanti: il suo debutto come geisha. Se da un lato questo salto evita l’effetto “more of the same”, cioè altre pagine di scappatelle o soprusi o doveri giornalieri, è sì vero che trascura il modo in cui quella speranza d’affermazione si avvera. Tanta attenzione al prima, alle premesse inizialissime, per poi saltare subito alle conclusioni. Francamente avrei voluto vedere, oltre alla ragazzina stoicamente sorridente in attesa di un futuro roseo e alla donna ormai arrivata, anche l’adolescente che si scontra per la prima volta con le difficoltà che il raggiungimento di quel futuro porta con sé: la disciplina, le lezioni di arti dimenticate (calligrafia, shamisen, danza, the…), la rinuncia all’amore… Insomma, i dubbi che inevitabilmente si formano crescendo e che, una volta fugati (o nascosti), danno forza al traguardo finalmente raggiunto.

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Comunque, dicevamo, colpo di reni e salto in avanti. E qui vediamo la nostra Tsuru, ormai cresciuta in una donna bellissima, aver finalmente coronato il suo sogno (imposto dalle circostanze?): diventare una geisha. La narrazione procede episodica raccontando situazioni e vicende, amori non corrisposti, delusioni. Anche qui, pur con il focus piantato sulla protagonista, si sorvola molto sui drammi interiori e sui tormenti (o gioie) personali. La voce narrante è perennemente esterna, oggettiva, onnisciente, quasi fredda. Quella che ne esce è una narrazione che appare spesso distaccata, per quanto coinvolgente ed interessante, forse più interessata a informare che a emozionare.

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Comunque, per quanto un certo distacco sia sempre percepibile, fin dalle prime pagine, Storia di una geisha rimane una lettura parecchio interessante, ai limiti del didattico: anche grazie a una certa attenzione nella traduzione (quasi sempre accurata) e alla ricchezza (ai limiti del ridondante) di note esplicative, a volume terminato quello che rimane al lettore è più che altro una serie di nozioni, di curiosità, di aneddoti generalisti sulla vita di una shikomikko (la sguattera di cui sopra) o di una geisha. Un quadro ben scritto, ma di una professionista qualsiasi, non di Tsuru nello specifico, che sarebbe stato bello arrivare ad amare. È comunque un bel ritratto di una tradizione e di un’epoca che furono.

Per il resto il lavoro di Kamimura risente un po’ degli anni che ha sul groppone, presentandosi con una struttura spiccatamente episodica ormai decisamente demodé (e talvolta stridente con l’edizione in volume) e con saltuari sfondamenti della quarta parete di fronte ai quali, oggi, non si può che sorridere benevolmente.

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Lo stile visivo e la cura di disegni e tratto, invece, invecchiano benissimo e mostrano quell’eleganza tipica di certa produzione manga di quegli anni.

Quindi. Una gru infreddolita – Storia di una geisha (bel titolo peraltro, parecchio evocativo)… consigliato? Bè, sì. È un fumetto un po’ didascalico e, tutto sommato, un po’ vecchiotto nei modi. Ma ci si impara molto. Se a metà del volume non vi sentirete coinvolti sarete, per lo meno, di certo interessati.

(tutte le immagini appartengono ai rispettivi proprietari)

8 thoughts on “Una gru. Fredda e infreddolita

  1. Mannaggia, mi hai anticipato di una settimana!
    Come al solito i tuoi articoli mi piacciono moltissimo, però stavolta non sono d’accordo su una cosa. Io non ho sentito tutto questo distacco tra lettore e narrazione (seppure sia chiaro che la narrazione é documentaristica). Anzi, mi sono sentito molto vicino alla protagonista, maggiormente nella prima metà del volume, quando lei é ancora piccola.
    Non sto qui a riscrivere tutto però, se hai pazienza la prossima volta saprai bene (circa) cosa ne penso io del volume e della storia… sperando ti interessi ovviamente!

  2. Oh, finalmente un manga! Questo l’ho letto!
    A me è piaciuto più del previsto..credevo che l’autore fosse lo stesso di “Lady Snowblood” (che non mi fece impazzire), invece ne aveva curato solo i disegni.
    Un po’ didascalico si, ma non va a travisare il piacere del racconto (almeno mi pare di ricordare). Anche sul distacco son abbastanza d’accordo, ma è lo stesso della protagonista. Non a caso nelle vicende da adulta il distacco è più evidente (come ricorda il primo commento, i capitoli dell’infanzia sono i più “umani”), come se fosse maturato necessariamente per vivere in quel genere di constesto. Ma forse le sto sparando, è passato un po’ da quando l’ho letto.
    Comunque basta “quel” capitolo per renderlo una lettura imprescindibile! XD

    • Ciao Stefano! È un piacere rivederti! Eh, che ci vuoi fare, ultimamente coi manga va un po’ così… Mi impegno a tornare sulla retta via.
      Capisco il tuo punto sul distacco narrativo (che non è per nulla campato per aria) che riflette quello della protagonista. Ma ho da dire due cose. Usare un narratore esterno, e non la voce interiore della protagonista, non aiuta. E in secondo luogo quel salto temporale in mezzo stacca troppo: non c’è una fluida evoluzione, per così dire, dall’entusiasmo al cinismo. Evoluzione progressiva che di certo avrebbe aiutato il parallelismo tra io-narrante e io-personaggio.
      Per quanto riguarda “quel” capitolo… A quale capitolo ti riferisci? In questo momento ho mille letture per la testa e faccio un po’ fatica a cercare nella memoria…

  3. Certo dipende anche da cosa si ha da dire…il racconto in prima persona favorisce l’immersione, ma ci vuole poco a renderlo retorico e stucchevole. Così invece l’ha resa più “impenetrabile”, meno banale forse. Lei è una che è nata e cresciuta in un ambiente in cui difficilmente si possono sviluppare una sensibilità o senso etico ordinario. Vi si è adattata e basta…niente vittimismi o piagnistei gratuiti.
    Sull’altro punto invece hai ragione! Certo è comprensibile per i meccanismi editoriali ai quali gli autori dovevano adeguarsi per pubblicare i loro lavori (a puntate, sulle riviste specializzate), motivo per cui si vede che la visione d’insieme è quasi assente…un peccato.
    Comunque, mi riferisco al capitolo 8 (rimosso nell’edizione monografica giapponese, tra l’altro). Il teatro di carta illustrata con le cose sconce sul retro ti dice niente…genialata! XD

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